Sofia Meda
Studio di architettura dei giardini
Progetti / Allestimenti
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Fotografia "Piante serrate"
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Podere Restelli
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Mal bianco: la pianta è una croce. Il fungo dell’oidio. Finestre bloccate senza terra né cielo: vedere la vita in forme sommerse. Sentirla lontana come si sente qualcuno. Bianco, colore che segna il distacco. Scatti di vita in apnea. Spiragli per torba e letame. In serra: colloquio speciale. Le dita sul vetro, falangi di poche parole. Qualcuna che scappa qualcuna che cerca di entrare. Qualcuna che guarda. Ma dove? Chiusa fuori guardo dentro, chiusa dentro guardo fuori: pianta-ferro davanti, ombra-pianta di dietro. Sempre. In mezzo nient’altro che vetro. “Costruiscono città senza giardino per coltivare le loro terrazze”. Umor vitreo. Pupilla strappata. Soltanto una tunica bianca. Il distacco è silenzio. Né in cielo né in terra: purgatorio di piante. L’oziorrinco notturno è un parassita comune. Visioni di ombre e di schiene piegate tra nebbia e vapore. La fitosofia elementare, ora, è medafisica dura. Diaframma di vetro. A denti stretti senza prendere fiato. Pellicola che nasce striata. Tra molecole in fiore il terrestre è un erbusto marziano nel sotto-sopra marino dove il verde incolore è l’aspetto più umano. In serra: etichettata, legata, colta, strappata, tagliata, essiccata, annegata, interrata. Piantata. Io. Vivo e vegeto.


 


Emilio Mazza

Attalea Princeps

“In una grande città c’era un giardino


botanico, ed in questo giardino si


trovava un’enorme, serra, fatta di


ferro e di vetro. Era molto bella, con


delle snelle colonne ritorte che


sorreggevano tutta la costruzione


e su una di esse poggiavano degli


archi delicatamente arabescati,


intrecciati tra loro in una e vera


propria ragnatela di infissi metallici


che sostenevano le vetrate.


Ma la serra diventava particolarmente


bella quando c’era il sole,


che la bagnava di una luce rossa.


Allora sembrava ardere tutta, i riflessi


rossi giocavano scorrendo su di


essa come su una gigantesca pietra


preziosa dalle mille sfaccettature.


Attraverso spessi vetri trasparenti si


potevano scorgere le piante racchiuse


all’interno.


Benchè la serra fosse molto ampia,


era comunque molto stretta per loro.


Le radici s’intrecciavano, rubandosi a


vicenda il nutrimento e la linfa vitale.


I rami degli alberi si mescolavano alle


grandissime foglie delle palme e le


curvavano rompendole, ma essi stessi


si piegavano e rompevano, sbattendo


sugli infissi. I giardinieri tagliavano di


continuo i rami, cingendo di fili tut-


te le foglie perché non crescessero a


loro piacimento, ma serviva davvero


poco. Per crescere bene sono ne-


cessari spazi ampi, il proprio paese

natale, libertà. Le piante erano crea-


ture delicate e splendide, originarie


dei paesi caldi; ricordavano spesso


la loro patria e ne avevano nostalgia.


Per quanto ampio fosse il tetto


di vetro, non era mai come il cielo


luminoso.


A volte, d’inverno, i vetri si coprivano


di brina, e in quei casi l’interno della


serra era tutto buio.


Il vento fischiava, batteva sugli infissi


facendoli tremare, e la neve si


accumulava sul tetto, ricoprendolo.


Le piante rimanevano immobili ad


ascoltare l’urlo del vento, e ricorda-


vano un altro vento, dolce e tiepido,


che aveva dato loro vita e benessere.


Avrebbero voluto sentire di nuovo


il suo alito, avrebbero voluto che


facesse oscillare i loro rami e giocas-


se con le loro foglie.


Ma nella serra l’aria era immobile;


a volte la bufera d’inverno rompeva


dirittura un vetro, e allora una


corrente pungente e fredda, insieme


alla brina,volava sotto la volta


dell’edificio. Dove questa corrente si


posava, le foglie ingiallivano e si


raggrinzivano appassite.


Ma i vetri venivano ben presto


sostituiti… Datemi ascolto: cresce-


te più alte e più forti, allargate i


rami,premete contro gli infissi e contro


i vetri ed allora la nostra serra


cadrà in pezzi e saremo libere…”.

Questo racconto poetico di Vsevolod


Garsin “Attalea Princeps” spiega in


parte il senso del mio sentire, del mio


lavoro fotografico attorno alle serre


ed alla vita che si svolge attorno a


quei vetri.

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